Quest’ultima traccia è una lettera scritta dal Conte Alberto Malmesi stesso, indirizzata a Giacomo Orlandi, senza indicazione del mittente.
Caro Giacomo,
spero che il tono confidenziale della mia missiva non ti infastidisca, visto che, anche se non ci conosciamo direttamente, mi sembra che tu sia uno di quei vecchi amici che non vedi da anni, ma poi, quando finalmente li incontri di nuovo, puoi parlare loro a cuore aperto, come se li avessi lasciati il giorno prima.
Come già avrai notato, è da tempo che sto seguendo i tuoi progressi nelle indagini, e, devo confessarti che in qualche occasione avrei voluto fermarti; poi ho capito che sei un gentiluomo ed una persona degna del mio rispetto, ed ho evitato di interferire.
Complimenti: hai trovato tutto quello che era possibile trovare su questo caso: hai ricostruito il puzzle perfettamente ed integralmente.
Purtroppo, però, ciò non è sufficiente a spiegarti come sono andate veramente le cose.
Tu non sai cosa fosse per me Dionilla: l’unica donna nella mia lunga e solitaria vita, che avrei voluto davvero come compagna; l’unica che mi capiva, che condivideva ogni momento con me, che mi appoggiava, che mi sosteneva, anche quando la mia volontà era fiaccata, l’unica che io mai avessi davvero amato.
Tu credi proprio, amico mio, che l’avrei uccisa?
Per cosa? Per berne il sangue, quando avrei potuto uccidere tutti i miei braccianti per quello e farlo sembrare un incidente?
Ti sbagli, e non avresti potuto fare errore più grossolano; ma ti capisco e ti perdono, perché ancora non mi conosci, ma spero che, dopo questa lettera, avrai imparato a comprendermi meglio, e quando avrai saputo l’intera verità, avrai una maggiore simpatia per il sottoscritto, o, perlomeno, una maggiore compassione. Quella sera del 3 dicembre 1914 avevo preparato una sorpresa per la mia cara Dionilla: la volevo rendere come me, un vampiro, come da lei desiderato da tanto tempo.
Avevo chiesto ai miei servi di lasciarci soli.
Entrai nella stanza, deciso ad iniziare il rito per il passaggio; lei mi aveva chiesto di non farle sapere quando sarebbe stato, ma di dedicarle una sorpresa. Bevvi il suo sangue, dolce come il miele; quando nel suo corpo ne fu rimasto così poco che non avrebbe potuto vivere a lungo, le feci bere il mio.
Lei, dopo un breve svenimento, riavendosi, con le lacrime di gioia agli occhi, avidamente bevve.
A questo punto, però, qualcosa andò per il verso sbagliato.
Dionilla stette male, il suo corpo tremava come mai avevo visto durante un trapasso; la sua pelle, anziché di candido alabastro, stava diventando violacea e scura come se un grosso ematoma si spandesse dal petto verso tutti gli arti.
Capii che non ce l’avrebbe fatta. Avevo sentito storie di umani che morivano nei riti di trapasso, ma credevo fossero inventate dai vampiri più anziani per evitare che la nostra popolazione crescesse troppo.
Dionilla morì tra le mie braccia, bagnata dal mio sangue e dalle mie lacrime, senza che potessi intervenire per cambiare le sue sorti e consapevole di averle procurato io stesso la morte.
Quale peggiore sorte mi avrebbe potuto colpire? Se avessi avuto la possibilità di scegliere, avrei di sicuro sacrificato la mia vita per la sua.
Ma ciò, ormai, non era più possibile.
Ovviamente, il resto lo conosci.
Ho fatto incolpare il fattore, un uomo rozzo, arrogante, violento: non starò a specificare quello che era solito fare alla moglie e alle figlie; dico solo che meritava la fine che ha fatto. Ho pagato il silenzio dei braccianti e indotto il ragazzino a testimoniare. So che non deve essere stato semplice vivere conoscendo quella scomoda verità, ma tutti sapevano che Erminio non era una brava persona, e questo li ha aiutati a convivere con quel peso sulla coscienza, essendo consapevoli di aver fatto la cosa giusta.
Me ne andai da questa città, e non vi tornai fino agli anni ’70. Credevo che coloro che mi conobbero 60 anni prima non mi avrebbero potuto associare al Conte Alberto Malmesi di allora, avendo cambiato il modo di vestire, il taglio di capelli e di barba, il nome e la provenienza e non essendo invecchiato di un sol giorno. E così è stato, fino a che tu non hai trovato quell’immagine su un quotidiano.
Ora che sai la verità, spero che, caro Giacomo, tu capisca quale dolore mi affligge da più di un secolo; quale profonda e incolmabile tristezza, quale rimorso pesante e inconsolabile sia costretto a sopportare: ho ucciso la mia amata e di questo mi struggerò per l’eternità.
Se vorrai incontrarmi, e condividere con me qualche momento, ti aspetterò al Bar del Teatro, in centro città alle ore 15:00 di venerdì 7 settembre.
Se non ci vedremo, ti auguro ogni bene e che la vita ti regali le migliori soddisfazioni; che tu possa trovare ciò che cerchi e possa conservarlo per sempre, come io non ho saputo fare.
Firmato: Alberto
Una nota scritta a matita, sotto la lettera:
Ora anche la tua ricerca è finita; hai scoperto la verità e la potrai raccontare, in modo che queste persone, vissute più di un secolo fa, abbiamo giustizia almeno adesso, nella memoria di qualcuno.
Dal canto mio, sono diventato amico di Alberto (non citerò il nuovo cognome, per mantenerne segreta l’identità) e facciamo lunghe passeggiate, nelle quali discorriamo di molti argomenti, tra cui letteratura, arte e musica; condividiamo anche la passione per i giochi da tavolo e ci sfidiamo a molti di essi (Alberto adora gli scacchi e il Go, ma da quando gli ho fatto conoscere molti giochi moderni, è diventato un vero appassionato). Credo che la sua tristezza si sia un po’ alleviata da quando sono al suo fianco e anch’io sono felice della mia nuova esistenza, tra i membri del Popolo Oscuro, come lo chiama lui.
Ti prego di non dire nulla di me o del mio attuale stato; che rimanga tra noi che sappiamo come si sono svolti questi insoliti fatti, ma se temi che potremo farti del male, tranquillizzati: sei una persona per bene, perciò non ci incontreremo mai e non verremo a disturbarti nella notte per bere il tuo sangue.
Grazie per aver condiviso con me questa indagine; le notizie che hai appreso ti accompagneranno di sicuro negli anni a venire, che ti auguro trascorrano sereni e pieni di gioia.
Giacomo Orlandi