Interdetto e un po’ spaventato, riuscii a registrare col cellulare le parole del povero senza tetto. Di seguito puoi  leggere la trascrizione che ti riporto integralmente e ti traduco, se non fossi avvezzo all’idioma forlivese:

“Cl’imbezel de’ mi padron, me an’lo’ miga amazé! E annò gnenca tuché cla su dunaza! L’era un furb, ‘a te deg me! L’ha sempar fat ‘e temid, ma l’era sol una fazeda. I ‘ma dé la coipa d’un “duplice omicidio e occultamento di cadavere”, mo’ me anno’ fat ‘gnita. Mè ‘aio sol fat quel c’um a det ad fé lo’, che rosp de mi padron. E pu’ i dis ch’am so mazé in galera, ma unné vera! Aio’ vest un’ombra e am so truvè con la faza contra al sbarri ad fer e ‘a so mort.”
“Quell’imbecille del mio padrone, non l’ho mica ammazzato! E non ho nemmeno toccato quella sua donnaccia! Era un furbo, te lo dico io! Ha sempre fatto il timido, ma era solo una facciata. Mi hanno incolpato di duplice omicidio e occultamento di cadavere, ma io non ho fatto niente. Ho solo fatto quello che mi ha detto lui di fare, quel rospo del mio padrone. Poi, dicono che mi sono ucciso in cella, ma non è vero! Ho visto un’ombra e mi sono trovato con la faccia contro le sbarre di ferro e sono morto.”
La cosa si complica, non ti pare? Se il sogno del senza tetto avesse una qualche attinenza con la realtà, si potrebbe ritenere che il fattore, Erminio Massa, sia stato incolpato ingiustamente e fatto sparire nella maniera più sicura: uccidendolo.

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